Domenica, 04 Luglio 2021 13:14

Il discepolato nel vangelo di Marco

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La casa malata che giace, raggiunta dal regno, risorge e si mette a servire senza indugi e senza ritardi...

IL DISCEPOLO: IL REGNO E LA CASA

Mc 1,29-31 Ascoltiamo il brano...

LA MALATTIA...

Il Regno entra nella casa, perché Gesù entra nella casa e il primo dettaglio che ci viene fornito è che quella casa è malata. Nell’incontro con Cristo quella casa si rivela subito malata. Si tratta, nello specifico, della malattia della suocera di Pietro, la quale, dice il testo alla lettera: “giaceva bruciante di febbre” (v.30).

Chiediamoci: che cos’è la malattia secondo il linguaggio biblico?

Nella comprensione biblica la malattia non è considerata una questione esclusivamente fisica, ma più in profondità essa è l’epifania, la manifestazione, a livello esterno, di una frattura che è accaduta nella profondità della persona. E’ come se fosse il sintomo di un disagio più profondo che c’è dentro le persone, una specie di disarmonia e di smarrimento che va a toccare la radice dell’uomo. Solo apparentemente la malattia riguarda questo o quell’arto, in realtà dice anzitutto che la persona è ferita, è nel gemito, nell’attesa di essere sanata.

La suocera di Simone “giace”, la casa si rivela “malata”: pensiamo a quali sono le malattie che fanno spesso giacere, nel senso che paralizzano e bloccano anche le nostre vite, le nostre famiglie, le nostre comunità. Sembra quasi che il testo ci chieda di pronunciare il nome, di dare una diagnosi a ciò che oggi colpisce e prostra la nostra casa.

L’INCONTRO

Il racconto della guarigione operata da Gesù è molto scarno, quasi scheletrico: un solo versetto. Gesù si avvicina alla suocera di Simone e la guarisce: la guarigione che offre Gesù è l’evidenza della salvezza, della ricomposizione della frattura, è il sintomo della nuova creazione.

La cosa più interessante è che Gesù non dice nessuna parola, tantomeno la suocera di Simone. Nell’incontro tra Gesù e il malato non c’è, in questo episodio, la mediazione della parola: non si dicono assolutamente nulla. La suocera non chiede niente a Gesù, Gesù non parla con la suocera, ma semplicemente si dice che altri parlarono a Gesù di lei.

In questo modo l’evangelista riesce a suscitare nel lettore, in noi, una forte tensione, perché mette a diretto contatto due persone: l’ammalata e Gesù. Così facendo pone al centro solamente l’incontro tra la malattia e il Regno; stanno entrambi faccia a faccia, senza intermediari, senza mediazioni, senza neppure quello spazio o quel tempo proprio di un dialogo tra le persone.

Questo ci dice una cosa molto importante: la sofferenza dell’uomo, di ogni uomo, sta immediatamente al cospetto di Cristo, sta di fronte alla persona di Gesù con tutta la sua urgenza, con tutta la sua grande carica provocatoria. E’ come se la malattia e la sofferenza esercitassero quasi una forza d’urto su di Lui.

In conclusione, visto che in questa narrazione la malattia sta dinanzi a Gesù senza diventare parola, né richiesta e neppure preghiera (la suocera di Simone infatti non chiede né tantomeno prega

Gesù di qualcosa), allora questo significa che in ogni patire, in ogni tipo di sofferenza, c’è già un’implicita preghiera. Il dolore, dunque, esercita una forte pressione sul cuore di Dio!

Le situazioni di sofferenza in cui ci possiamo trovare nella vita sono intrinsecamente capaci di chiamare Dio, di fare appello a Lui, di attirare il suo agire, anche senza diventare ufficialmente o verbalmente preghiera.

Pensiamo a quando durante la storia d’Israele Dio si pone in ascolto del suo popolo: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto, ho udito il suo grido... conosco le sue sofferenze, sono sceso per liberarlo” (Es 3,7s). Non si dice che Dio abbia ascoltato la “preghiera” del suo popolo, ma c’è solamente e semplicemente l’ascolto del patire di un popolo ridotto in schiavitù e la risposta di Dio a quella sofferenza. Ed è proprio questa urgenza della sofferenza che preme sul cuore di Dio, che bussa alle sue viscere di misericordia e lo spingono ad intervenire e a portare salvezza.

In sintesi: è come se la sofferenza fosse già essa stessa una preghiera davanti al Signore, anche se non riesce a diventarlo formalmente; sembra quasi che Dio ci venga in soccorso poiché l’uomo, nel dolore, spesso non trova neppure le parole per esprimere la sua richiesta d’aiuto. Il dolore dunque non solo “ha” voce davanti a Dio, ma “è” esso stesso voce.

LA GUARIGIONE

Ed ecco che, di fronte alla malattia della suocera di Simone, giunge la risposta di Gesù, anch’essa senza parole: la suocera “katèkeito” (giaceva) e Gesù “ègheiren autèn” (risuscitò lei).

E’ bello vedere come Marco descrive questa vicenda in tre soli versetti, mediante una terminologia di carattere esplicitamente risurrezionale: infatti la donna giace e Cristo la fa sorgere. Marco usa lo stesso verbo che impiegherà poi nel cap.16 ai vv.6.14 per indicare la resurrezione di Gesù stesso (“E’ risorto” – “egherte” – “...li rimproverò... perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto – “egheghermenon”).

Non solo Gesù la “risorge”, ma la prende anche per mano: quest’espressione è presente in alcuni salmi di lamentazione, in cui troviamo la preghiera del giusto sofferente dinanzi a Dio e Dio che risponde, prendendolo per mano.

La casa che prima giaceva e che si era svelata malata nell’incontro con il Regno, viene ora raggiunta e inondata dalla risurrezione, perchè visitata dalla persona stessa di Gesù.

L’EFFETTO DELLA GUARIGIONE

Un altro aspetto importante di questo racconto è l’effetto che la guarigione ha provocato, vale a dire la capacità di servire. Siamo abituati a sentire parlare di effetti collaterali di medicine o vaccini, effetti sempre negativi e rischiosi; adesso ci troviamo di fronte agli effetti della guarigione, sempre positivi e arrecanti vita.

Poniamo attenzione alla successione dei verbi:

giacere – risorgere - servire

La casa malata che giace, raggiunta dal regno, risorge e si mette a servire.

Il verbo in greco impiegato per esprimere il servizio è diakonèin; si tratta del verbo tipico del discepolo: pensiamo ad esempio a Gv 12,26 “Se uno mi vuole servire, mi segua” e anche a Mc 15,41, dove si dice che le donne presenti in prossimità della croce di Gesù erano quelle che “lo seguivano e lo servivano”.

La suocera di Pietro, una volta guarita da Gesù, dice il testo che “li serviva”: è come se venisse costituita in modo implicito “discepola” del Maestro.

A questo punto della riflessione, è evidente che il sintomo dell’avvenuta guarigione e sanazione, il segnale che nella casa malata c’è stata la visita della presenza sanante del Regno è il servizio. Il segno supremo che dice l’avvenuta guarigione di un uomo è il suo mettersi a servizio; ogni persona, ogni comunità, davvero “risorgono” nella misura in cui “servono”.

La diakonia è il sintomo della risurrezione! Il servire è l’espressione dell’essere entrati nella risurrezione, dell’appartenere al Regno, dell’essere avvolti dalla potenza (exousia) di Gesù.

Si tratta di una consegna molto importante anche per la nostra vita di consacrate, perchè questo ci aiuta a fare discernimento: da che cosa si capisce la qualità della mia vita, della vita della nostra fraternità? Come si misura il livello di crescita della nostra “vitalità”, del nostro vivere da “risorte”? Viviamo davvero da persone guarite e risorte, se nella nostra esistenza personale e comunitaria si moltiplicano i gesti del servire, se viviamo l’attitudine al dono, se gareggiamo nell’aiutarci a vicenda, se corriamo a lavarci i piedi le une delle altre...

Un altro aspetto molto significativo di questo racconto è che tutto questo che Marco ci ha descritto, non scordiamolo, avviene in giorno di sabato! Non solo Gesù guarisce una donna di sabato, ma anche questa donna, la suocera di Simone, infrange la legge del sabato, perché si alza e si mette a servirli. Marco mette così in evidenza, indirettamente, quale sia la legge nuova del Regno: quella del servizio!

Questa legge ha sempre una superiorità rispetto alla legge mosaica, indicando così che il modo per santificare il riposo del sabato è quello di attuare il servizio all’uomo, alla vita delle persone. In altre parole, noi santifichiamo le feste, non solo partecipando all’Eucarestia, ma nel servizio che ci offriamo vicendevolmente.

Letto 576 volte Ultima modifica il Sabato, 14 Agosto 2021 10:23

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